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12 Mar

Black Friday Part 3

enrica alessi scrittrice crem's blog

enrica alessi scrittrice crem's blog

M

i sento come la principessa che bacia il ranocchio, aspettando che l’incantesimo svanisca e che Dave torni ad essere il mio principe. Ma ora, la sola cosa che sento è un fortissimo conato di vomito.
La testa sta girando, la stanza sta girando. Ossantocielo.
Abbandono il letto — e quel poco di dignità che mi rimane — per correre in bagno e raggiungere il water. Se non mi sbrigo, rimpiangerò le gocce d’acqua di cui mi lamentavo poco fa.
E per fortuna, il fiume che sarebbe potuto finire sul pavimento, scorre via mentre tiro lo sciacquone.
Qui, sembra che l’unico incantesimo svanito sia quello della favola di Cenerentola, e io sono pure peggio di lei dopo mezzanotte. Dovevo capirlo dalle Louboutin che non sarebbe stata una serata facile.
I capelli mi cadono sul viso, chiudo gli occhi e ho voglia di piangere. Come può essere finita così? Sollevo la testa e mi volto pulendomi la bocca. Lo vedo lì: sulla porta, lo guardo e mi sento morire.
Mi alzo lentamente, anche l’effetto dell’alcol è svanito, ma gli occhi lucidi non mi aiutano a decifrare la sua espressione: senso di colpa? Vile senso di colpa?
No. Preferisce continuare a fingere, facendomi sentire stupida e compatita, ma se sono in questa situazione imbarazzante, è solo colpa sua.
Non sono stata io a distruggere tutto.
Sono mezza nuda, ma la sobrietà mi ha restituito il pudore e il coraggio di affrontarlo degnamente.
Come stavo di dicendo: ho bruciato due torte a causa sua, un ‘dopo’ me lo deve.
Mi avvicino al lavandino e a Davide che sta in piedi di fronte a lui, allunga la mano per accarezzarmi i capelli e dice: “tesoro, come va?”
Avrei voglia di rompergli il naso, ma non mi abbasso a tanto. Lo schivo.
“Ho appena scoperto che hai una relazione, credimi: non sarà una vomitata a uccidermi.” dico senza degnarlo di uno sguardo.
Lo scanso per raggiungere la camera da letto, per allontanarmi dal mostro che mi ha umiliato, ma sento i suoi passi che mi raggiungono e la sua mano che cerca di afferrare la mia.
Una parte di me vorrebbe urlargli di non osare toccarmi, ma l’altra ha paura: ha paura che questa possa essere l’ultima volta, che non lo faccia mai più.
Lui era il mio principe azzurro, e ha rotto la favola per una Lego Friends.
Il mio cervello continua a suggerirmi una battuta, e sì, muoio dalla voglia di dire: ‘me la pagherai!’ ma detta così potrebbe suonare come una minaccia, e io rimango pur sempre una signora.
Lascio che prenda la mia mano e lo seguo in camera, sedendomi sul letto di fronte a lui.
“Eva: ti devo delle spiegazioni.”
Non so quale mix di forze terrestri mi stia trattenendo da tirargli un ceffone, ma un gesto così genuino mi toglierebbe il piacere di chiarire la mia posizione:
“No. Aspetta. Forse è bene che sia io a dirti come mi sento. Sei ore fa stavamo facendo l’amore e ora, scopro che sei venuto a letto con me, dopo essere stato a letto con lei. Sei tornato a casa, hai fatto una doccia e il pensiero di rivederla più tardi ti eccitava. È andata così, vero?”
“Be’, io…” dice alzandosi.
Anche io mi alzo e al terzo puntino di sospensione, valuto che uno schiaffo sarebbe così poco elegante… meglio una ginocchiata: proprio lì. Lo stendo e rimane senza fiato.
Che liberazione.
Ossantocielo! Cosa ho fatto? Dove diavolo è finito il mio self-control? Non mi riconosco più.
Dovrei soccorrerlo e scusarmi per aver agito in modo così impulsivo, ma più ripenso alla scena del ristorante, a quella dentro il mio armadio, a quella di poco fa, in cui credevo che tutto fosse superabile, e più mi rendo conto di non esserne capace.
Gli ho dedicato la mia vita, rinunciando al mio lavoro, ai miei amici, a ogni interesse per renderlo felice, e questo è il risultato: Eva sei una stupida.
Lo lascio in ginocchio sul pavimento e raggiungo lo Studio, come se cambiare aria e prospettiva possa farmi vedere le cose in modo diverso, ma non succede.
Cerco una vestaglia, voglio coprirmi, non voglio stare nuda di fronte a lui. Ce ne sono diverse, prendo la prima sulla sinistra: nera, di seta, lunga fino ai piedi.
Vado in soggiorno, Davide ha lasciato il suo telefono incustodito sul tavolo, e anche questo mi ferisce. Ormai non c’è più nulla da nascondere, la verità è venuta a galla, e per quanto drammatica possa essere, per lui sembra essere una sorta di liberazione. Basta bugie, basta segreti.
E mentre sento la mia dignità che si schiaffeggia nel tentativo di riprendersi dallo shock, il telefono silenzioso si illumina.
Al diavolo le buone maniere, lo afferro e trovo un altro messaggio di Andrea:
“Amore, sei riuscito a dirle che vuoi vivere con me?”
Il senso di nausea mi invade, seguito dall’impellente desiderio di dare di stomaco, se non fosse che si è prosciugato mezz’ora fa. Respiro profondamente, come facevo da piccola prima di salire sull’auto dei miei, ma anche adesso non serve.
In quel momento, realizzo che è davvero finita: sarà anche una stupida Lego Friends, ma lei lo guarda in modo diverso.
Lo amo così tanto che fatico a credere che qualcun altro possa guardarlo come io lo guardo, ma forse non è questo il problema: è lui a non guardarmi più come prima. Devo farmene una ragione.
Mi volto e Davide sta in piedi dietro di me.
Sono stanca di combattere, sono stanca di parlare, sono stanca di essere la poverina a cui si devono delle spiegazioni.
È finita. È finita davvero. È finita per sempre. Cosa c’è da aggiungere?
Tengo in mano il suo telefono, glielo porgo e dico: “Andrea ti ha mandato un messaggio, puoi dirle che ho scoperto da sola che avete deciso di vivere insieme.”
Ora, il mio film mentale prevede che sia io lasciare la scena di spalle, senza voltarmi, e il pubblico commosso mi concederà un applauso per dirmi addio, ma nemmeno questa parte di copione va come dovrebbe andare.
Davide prende il telefono dalla mia mano e lo butta sul pavimento frantumandolo, poi mi blocca, impedendomi di lasciare la stanza.
“Eva, ascoltami ti prego. Non mi aspetto che tu capisca il mio punto di vista, non mi aspetto la tua comprensione, né tanto meno il tuo perdono, ma non posso lasciarti credere che non me ne importi niente. È successo, non l’ho premeditato, e non voglio andarmene in questo modo.”
Cosa vuole allora? Si aspetta un sorriso, una pacca sulla spalla, una frase del tipo: ‘non preoccuparti, non fa niente’?
Forse ci vorrebbe un’altra ginocchiata: quella riuscirebbe a chiarirgli che anche Sofia rimarrà senza fiato quando verrà a sapere che suo padre se na sta andando di casa.
“E vediamo: posso fare qualcosa perché tu possa andartene nel modo che desideri? Potresti fare la valigie, uscire da qui per sempre e aspettare che sia io a trovare il coraggio di parlare a nostra figlia per informarla dell’accaduto in modo dolce e delicato. Una cosa tipo: ‘tesoro, è successo, papà non lo ha premeditato, ma è innamorato di un’altra donna e vuole vivere con lei. Ce la caveremo.’” dico sarcastica.
“Ho pensato a te, ho pensato a Sofia: non vi farò mancare niente…”
Quindi tutto si riduce a una questione economica? Sembra un’occasione imperdibile.
“Vattene e non tornare mai più.”
“Devi lasciarmi spiegare.”
“Ti prego, vattene da qui.”
Chino la testa su ciò che rimane del telefono che sta raccogliendo nervosamente. Il mio sguardo segue i suoi passi che si dirigono nello Studio. Sento i cassetti che si aprono, il rumore soffocato degli abiti spinti all’interno di una valigia. Nessuna parola, nessun ripensamento e la porta che sbatte.
Davide è andato via.
Il nodo che ho in gola stringe sempre più forte: mi sembra quasi di soffocare, ma le lacrime sottili che scendono sul mio viso si trasformano in un lungo pianto liberatorio che allenta la presa.
La vita perfetta di cui sono sempre stata orgogliosa, non ho nemmeno idea da quanto tempo abbia cessato di esistere.
Eravamo semplice apparenza, e io devo affrontare il mio primo grande fallimento.
Forse ho fallito anche come mamma se non sono riuscita a tenermi un papà.
Avrei dovuto essere più determinata, meno accondiscendente, o forse, avrei solo dovuto pensare a me stessa come donna. Non solo come moglie, non solo come mamma.
Mi sento impotente.
Ho perso tutto: la mia autostima, il mio lavoro, la mia famiglia.
Olivia aveva ragione, e solo oggi riesco a capire le sue parole, quelle che avevo frainteso, dette da un capo furioso che doveva rinunciare al suo braccio destro per sempre.
Non scorderò mai il giorno delle mie dimissioni. Sarei potuta essere una mamma presente anche con un lavoro a tempo pieno, ma Dave voleva una famiglia e non voleva che i suoi figli crescessero con una mamma part-time. Sapevo che il mio lavoro mi sarebbe mancato, ma avrei fatto qualsiasi cosa per renderlo felice, anche seguirlo in capo al mondo.
Ripenso a tutti i discorsi a cui ho assistito in questi anni riguardo agli alimenti. Quei discorsi a cui non ho mai dato importanza, credendomi al sicuro, e ora sono i soli che mi sembrano importanti. Ho rinunciato alla mia indipendenza economica e sono diventata anch’io una di loro: una ex moglie che dipende dal suo ex marito.
In quale momento ho deciso di sacrificarmi totalmente in nome di un amore che non esiste più?
Ho voglia di piangere. Mi tuffo sul letto e affondo la faccia nel cuscino: le lacrime inondano i miei occhi. Vorrei sentirli chiudere piano piano, vorrei dormire, sognare, svegliarmi con un suo bacio e accorgermi che è stato solo un brutto sogno, e invece la mia mente continua a pensare, a chiedersi perché. Come è potuto succedere?
Tutto era cominciato nell’estate del 2004, dieci anni prima che si compisse tale scempio. Ma se avessi saputo che il verificarsi di tali concatenazioni di eventi ci avrebbe condotto a questo punto — alla perdita irrimediabile di una carriera che mi avrebbe appagato per l’eternità — non so se…

TERZO EPISODIO

Illustrazione: Valeria Terranova